Ah però già le 22.40, abbiamo fatto ben tardi eh

Ore 17.10 Ufficio di Eurocobra.

Il capo di Eurocobra: “stasera ci sei allora?”

Io: (ingenuo) dove?

Il capo di Eurocobra: alla cena dell’Ufficio!!

Io: (Sudore) No. Mi devo uccidere.

Ecco siamo giunti al momento che per tutto l’anno mi provoca ansia, astio, paura e dei sudori freddi giù lungo l’arco scogliotico della mia schiena… la cena dell’ufficio… la terribile cena dell’ufficio. Trenta perfetti sconosciuti che devono obbligatoriamente passare insieme tre ore, tre ore e mezza con la consapevolezza presente in tutti che sarà una serata disastrosa.

Il punto è che con i colleghi di lavoro tu non ci spartisci niente, non avete nulla in comune, non vi piacciono le stesse cose, ciò che tu odi a loro piace e viceversa (io tengo all’inter loro alla juve); la cosa che manca più in assoluto però è la voglia di comunicare con loro; io sinceramente non ho più voglia di sbattermi ad aprire conversazioni con gente che ha l’apertura mentale di una formica operaia, si fottano penso per 364 giorni all’anno, ma…. È si perché poi arriva il ma.

Quella sera i conti devi farli con loro, ci devi comunicare.

 

Ore 18.30

Eurocobra sta pensando a delle scuse per non andare, ma ormai è tardi ha già improvvidamente accettato l’invito.

 

Ore 18.45

Eurocobra pensa freneticamente e segna su un bigliettino argomenti di conversazione generica.

 

Ore 19.15

Eurocobra ha la mente vuota non gli viene in mente un cazzo che possa far durare una conversazione per più di tre minuti… decide che improvviserà al momento.

 

Ore 19.45

Eurocobra si prepara, le ascelle sudano e non è un buon segnale.

 

Ore 20.00

Eurocobra esce di casa con la benedizione della Ricciolona che ride dietro i capelli

 

Ore 20.05

Eurocobra saluta i colleghi al ristorante che lo ricambiano con sorrisoni di circostanza, ma ehi… tutti quanti conosciamo l’amara verità.

 

La prima cosa che noti quando vai alla cena dei colleghi è che loro non sono gli stessi di tutti i giorni. Si tirano alla grande. Le donne si trasformano in mignotte e gli uomini tirano fuori il vestito della comunione del nipote della zio del cugino americano e si mettono in testa il gel che gli ha regalato il barbiere. La ragioniera si mette tre chili di cerone per nascondere orrende zampe di gallina, la segretaria un kilo di rossetto rosso fuoco di passione comperato alla upim, l’altra segretaria un paio di stivalazzi neri con calze a rete modello salame ungherese, l’operaio ha una giacca di velluto anni ‘80 con delle spalline enormi e due bottoni bassissimi… insomma il circo barnum.

All’aperitivo ancora l’allegria regna sovrana è tutto un “come stai?” “bene grazie, ma dovresti saperlo mentecatto visto che ci siamo visti due ore fa”; poi comincia la tragedia, ci si siede a tavola.

La prima regola delle cene dell’ufficio è che tu sbaglierai di certo la collocazione nel tavolo. I tuoi vicini di posto sono sicuramente i più timidi ed impacciati della tavolata. Dall’altra parte del tavolo scrosceranno le risate e ci sarà sempre un fervore di chiacchiere tanto che a metà serata qualcuno della tua parte, mimez, si alzerà e si trasferirà dall’altra.

All’antipasto le cose non vanno ancora così male, ognuno racconta con dovizia di particolari ciò che ha combinato quel pomeriggio dalle sei alla otto, ma già intravedi l’ombra della tragedia perché sai che quell’argomento di conversazione non può durare in eterno ed infatti al primo il dramma si manifesta in tutta la sua virulenza.

Si comincia a parlare del cibo in tavola sperticandosi in inutili lodi per la pasta ai carciofi. Tu cominci ad ingurgitare bicchieri di vino e ad asciugarti il sudore dalla fronte. A metà del primo iniziano i primi silenzi prolungati… qualcuno ci prova con il buon vecchio tempo, ma cazzo oggi splendeva il sole in cielo e quindi non ci si può neanche lamentare del freddo.

Ai secondi la tua mente è super concentrata “trova un argomento, trova un argomento, trova un argomento, trova un argomento, trova un argomento” finalmente lo trovi: i viaggi! Qualsiasi essere dotato di gambe è stato da qualche parte di minimamente interessante….

Niente da fare. Si parlucchia di viaggi per dieci minuti scarsi, ma non è cosa. Il viaggio più interessante lo racconta il signore con le brache arancioni che mi siede di fronte: Cuba negli anni 80; il problema è che non si ricorda il nome delle località dove è stato, fa una confusione continua tra posti, riesce a mettersi in imbarazzo parlando del culo delle cubane. Io allora tiro fuori l’asso dalla manica, dico che a maggio andrò in Grecia e chiedo se qualcuno c’è stato (tutti sono andati in Grecia Cristo); niente, nessuno è mai stato in Grecia.

La ragioniera cerca allora di buttarla sul lavoro, ma viene subito zittita da un farabutto che le intima con tono fintamente simpatico: “ehi no dai almeno stasera non si parla di lavoro…”. Io vorrei rispondergli dicendo: “allora genio cazzone trova tu un argomento che non sia il lavoro, imbecille”, ma invece non dico niente perché l’affermazione del cialtrone riceve l’approvazione di tutti gli altri.

Al filetto di carne con i funghi cade il silenzio. L’unico rumore che si ode sono i coltelli sui piatti di ceramica CCCCRRRICCC CCRRRRICZZZZ…. Nel deserto alle nostre spalle cominciano a rotolare delle palle di sterpi ed i cojoti cominciano ad ululare.

Ed infine il melodramma. Il figlio di puttana di prima decide che è il momento di gettare nel baratro dell’imbarazzo tutti i presenti con la classica frase: “ehi quanto silenzio… si vede proprio che avevamo fame… eh eh eh…” Io ho in mano il coltello della carne e per un momento penso che cacciarglielo in gola provocherebbe finalmente un bel dibattito su come la morte arrivi all’improvviso, ma mi adeguo ai sorrisini colmi di pietà che tutti hanno sulla faccia e non dico niente neanche stavolta.

Sono le 22.30 ed arriva il dolce. Il dibattimento si è spostato su quanto si abbia mangiato quella sera e di come nessuno sia abituato a mangiare così tanto. Io sono alticcio…. anzi no io sono ubriaco. Comincio a far cadere oggetti, non controllo più la voce quasi cado dalla sedia.

Arrivano gli amari, limoncelli, grappe varie…. La gente ormai da un po’ fa a finta di sbadigliare.

La ragioniera esclama: “ah però già le 22.40! abbiamo fatto ben tardi eh!” Io mi metto a riderle in faccia.

Sono le undici. Il capo fa un breve discorsetto ringraziando tutti per la presenza e sostenendo che questi ritrovi fuori dal lavoro fanno bene al gruppo.

Un bacio alle signore, una virile stretta di mano agli uomini, tanti tanti auguri di buon natale a tutti e finalmente posso tornare alla mia vita con un’unica consapevolezza: ho un anno di tempo per prepararmi alla prossima cena dell’ufficio.

 

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7 Risposte a “Ah però già le 22.40, abbiamo fatto ben tardi eh”

  1. MIO DIO, sono sgomento, nel leggerti ho sudato freddo e mi veniva voglia di URLARE!!!!

    Per fortuna che dove lavoro ora non si fanno più le cene coi colleghi, solo un innocente pranzo alla fine del CdA di fine anno e quindi si parla di lavoro!!!

    Aloha.

  2. Aloha: anch’io ho sudato freddo e avevo voglia di urlare…

    MariaTn: grazie cara… auguri anche a te ed alla famigliola

  3. di solito in queste tristerrime ed inutili cene di natale, il discorso trova partecipazione comune attorno ad argomenti che riguardano “il diverso” (diverso dalla comune omologazione).

    io, in quanto vegetariano, ne so qualcosa..

  4. Ipsediggy: benvenuto; magari da noi ci fosse un “diverso”… siamo tutti angosciosamente uguali..

  5. io invece mi son divertita alla cena dell’ufficio che abbiamo fatto a casa del capo;

    abbiamo parlato soprattutto di neonati visto che nel giro di 3 mesi ne abbiamo sfornati 3….

    mangiato aragosta e bevuto meglio visto che il mio capo è enologo…

    noi neogenitori siamo quelli che ovviamente hanno lasciato la compagnia prima (verso l’una)

    gli altri hanno fatto le tre degustando rum vari…

    adesso odiami pure!

    fiammetta

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